22 nov 2020

La magica notte di Natale

 


La magica notte di Natale

Riccardo è un bimbetto molto dispettoso: si diverte a prendere in giro i suoi compagni e a spingerli quando giocano facendoli cadere, così tutti lo evitano e lui è rimasto solo.

"Chi se ne importa? Non ho certo bisogno di loro io!" pensava Riccardo.

Ma è quasi Natale: le vetrine sono adornate di fili luccicanti e palline colorate, il negozio di dolciumi espone panettoni, caramelle e cioccolatini da appendere sugli alberi di Natale e il negozio di giocattoli mostra tutte le ultime novità… che bello il Natale!

Sarà per quell’atmosfera di festa, sarà che le persone in questo periodo sono più attente al prossimo, ma anche i mendicanti per strada raccolgono qualche monetina in più. Non si sa bene il motivo, ma in questo periodo la gente riesce ad accorgersi della loro presenza e riesce a non passargli accanto con il volto indifferente, il passo affrettato e il cuore chiuso.

Si sa in questo periodo tutti si sentono più buoni ...tutti tranne Riccardo.

E’ la notte di Natale e Riccardo dorme nel suo lettino.

Ma qualcosa di speciale sta per accadere….

Un forte rumore sveglia il bambino che aprendo gli occhi si trova davanti BABBO NATALE!

"Cosa mi hai portato?", chiede subito Riccardo.

"Prima di darti il mio dono rispondi a questa domanda: sei stato bravo quest’anno?"

"Certo!", risponde pronto Riccardo.

"Ne sei davvero sicuro?", chiede ancora Babbo Natale.

"Ti ho già detto di sì sei sordo forse?", risponde di rimando Riccardo.

"No non sono sordo, ma questa sera prima di darti il tuo regalo voglio portarti a fare un giro …un giro nel passato!"

Così dicendo Babbo Natale prese la mano di Riccardo e si trovarono nel cortile della scuola. Era il giorno della partita di calcio e Simone segnò il goal della vittoria.

A Riccardo non piaceva perdere, così fece annullare il goal ripetendo che era fallo, che era fuorigioco e siccome il bambino che faceva l’arbitro era un suo compagno di classe, annullò il goal di Simone perché aveva una gran paura di Riccardo!

Ma Babbo Natale fece di più. Fece immedesimare Riccardo in Simone e gli fece provare la delusione che provò il suo amichetto in quel momento. Non tanto per il goal, ma perché lì a guardarlo c’era il suo papà e lui voleva mettercela davvero tutta per non deluderlo. Voleva vincere la partita per rendere il suo papà fiero di lui, non per se stesso.

Riccardo rimase molto colpito da questo e la durezza del suo cuore cominciava a tremolare.

Poi si trovarono per le vie del centro, era il giorno in cui Riccardo incontrò Arianna. Si era messa l’apparecchio ai denti e lui la prese in giro. Anche qui Babbo Natale fece provare a Riccardo la tristezza di Arianna, perché per una bimba è comunque importante sentirsi carina e lui l’aveva ferita.

La durezza di cuore di Riccardo continuava a tremolare ed i suoi occhi avevano i lucciconi.

Si spostarono ancora e si trovarono a casa di Riccardo.

Sua mamma era molto stanca, lavorava di giorno in un ufficio e quando tornava a casa aveva da riordinare, preparare la cena, lavare, stirare e di tempo per riposarsi ne aveva ben poco.

Riccardo si vide quando, finito di giocare in cameretta, lasciava tutti i giochi sparsi per la stanza. Andava poi in cucina a bere un bicchiere di latte e non puliva neppure se lo rovesciava per terra. Anche qui intervenne Babbo Natale e fece immedesimare Riccardo nella mamma.

Il bimbo provò un’emozione fortissima che lo fece tremare. Sentì il grandissimo amore che sua mamma provava per lui, l’amore che metteva nel riordinare la casa e farlo vivere in una ambiente accogliente e pulito, l’amore che metteva nel lavare e stirare i suoi abitini e farlo andare a scuola sempre in ordine e la tristezza che la mamma provava tutte le volte che il preside della scuola la chiamava a causa del comportamento di suo figlio in classe.

Riccardo scoppiò a piangere.

Aprì gli occhi e si accorse di essere nella sua cameretta da solo.

La mamma sentendolo piangere andò da lui e l’abbracciò. Rimasero così a lungo. La mamma era contenta perché da molto tempo Riccardo non l’abbracciava più, da quando il suo papà era volato in cielo e lui non aveva nessuno con cui prendersela per questo.

Il mattino successivo Riccardo telefonò ad Arianna e le disse che la trovava molto carina.

Poi chiamò Simone, gli chiese scusa e gli disse che voleva essere suo amico.

Ad un certo punto Riccardo si accorse di un pacco rimasto sotto il suo albero: il suo regalo lo aveva già aperto! Che fosse quello di Babbo Natale? Aprì il pacchetto e trovò un pupazzo di Babbo Natale che se gli si premeva la schiena faceva l’occhiolino!

Riccardo scoppiò a ridere e pensò: la notte di Natale è davvero una notte magica perché addolcisce i cuori e porta un sorriso sul viso della gente e Babbo Natale mi ha insegnato che comunque non è necessario aspettare che sia Natale per accorgersi di avere un cuore capace d'amare!

7 giu 2016

La fede

Se non è fondata sul proprio giudizio e sulla propria esperienza, la fede ha poco valore. Con la sola fede non si ottiene nulla: è la consapevolezza del proprio merito a renderci liberi. Non dobbiamo diventare credenti, bensì sapienti.

Le dieci catene che ti tengono legato al Samsara.

Cosa sono le dieci catene?

1- La falsa idea, secondo la quale l’Io o l’anima sia immortale.

2- Il dubbio che non esistano un ordine morale del mondo e una via alla redenzione.

3- La falsa idea, secondo la quale pratiche religiose esteriori, preghiere, sacrifici, ascolto di prediche, adorazione di reliquie, pellegrinaggi e altri, simili riti, portano alla redenzione.

4- I piaceri dei sensi.

5- L’odio.

6- L’amore per la vita.

7- L’aspirazione a un’esistenza futura, in cielo o in paradiso.

8- La superbia.

9- L’orgoglio.

10- L’ignoranza.

1 giu 2016

La madre


E il cuore quando d'un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d'ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.



(Giuseppe Ungaretti: Sentimento del Tempo)

Ordinotte


Cupi
spande la campana
rintocchi nell'aria.

È l'ordinotte.

Pavidi
i viandanti
rincasano in fretta.

Lenti
i rintocchi
si insinuano nel cuore:
un fremito di sgomento
percorre le vene.

Le Paure
serpeggiando
invadono le strade
deserte
livide
all'imbrunire
avvolgono di magia
i silenzi notturni.

È l'ora degli spiriti:
è l'ordinotte.

( 29/10/01)

30 mag 2016

I tre tipi di risveglio

"C’è un insegnamento riguardo ai tre tipi di risveglio:

  •  risveglio dal sogno dopo un sonno normale,
  •  risveglio alla morte dal sogno della vita,
  •  risveglio nella piena illuminazione dal sogno della delusione.
 Questi insegnamenti dicono che, quando moriamo, è come se ci svegliassimo da un lunghissimo sogno."


 (da "Se il mondo ti crolla addosso (Universale economica. Oriente)" di Pema Chödrön, R. Gerola)

28 mag 2016

SUTRA DEL CUORE (PRAJNAPARAMITA) – LA TRADUZIONE DI THICH NHAT HANH

SUTRA DEL CUORE (PRAJNAPARAMITA) – LA TRADUZIONE DI THICH NHAT HANH

Il maestro zen Thich Nhat Hanh ha completato questa traduzione in inglese delSutra del Cuore l’11 settembre 2014, poche settimane prima di essere ricoverato in ospedale. Il testo è destinato a essere utilizzato sotto forma di canto nella pratica e nelle cerimonie di Plum Village, dove risiede la comunità dei monaci della tradizione di Thich Nhat Hanh stesso. Il testo può risultare di non facile comprensione, pertanto può essere utile leggere il commento di Thich Nhat Hanh che lo accompagna, scritto per spiegare i motivi della nuova traduzione. Si veda anche il commento di Shunryu Suzuki.

 

La comprensione profonda che ci conduce all’altra riva

Avalokiteshvara,
essendosi immerso nella pratica della comprensione profonda
che ci conduce all’altra riva,
all’improvviso scoprì
che i cinque skandha sono tutti ugualmente vuoti,
e con questa realizzazione
superò ogni sofferenza.

“Ascolta, Shariputra:
questo stesso corpo è il vuoto
e il vuoto stesso è questo corpo.
Questo corpo non è altro che il vuoto
e il vuoto non è altro che questo corpo.
Lo stesso vale per le sensazioni,
le percezioni, le formazioni mentali
e la coscienza.

Ascolta, Shariputra:
tutti i fenomeni portano il marchio del vuoto;
la loro vera natura e’ la natura
della non-nascita e non-morte
del non-essere e del non non-essere,
della non-impurita’ e della non-purezza,
della non-crescita e della non-decrescita.

Questo è il motivo per cui nel vuoto
il corpo, le sensazioni, le percezioni,
le formazioni mentali e la coscienza
non sono entità con un sé separato.

I diciotto regni dei fenomeni –
ovvero i sei organi di senso,
i sei oggetti dei sensi,
e le sei coscienze – a loro volta
non sono entità con un sé separato.
I dodici anelli della genesi interdipendente
e la loro estinzione, a loro volta
non sono entità con un sé separato.
La sofferenza, le cause della sofferenza,
la fine della sofferenza, il Sentiero,
la comprensione profonda e la realizzazione,
a loro volta non sono entità con un sé separato

Chiunque sia in grado di vederlo,
non ha più bisogno di realizzare nulla.

I Bodhisattva che praticano
la comprensione profonda che ci conduce all’altra riva
non vedono più alcun ostacolo nella loro mente,
e poiché non esiste più
alcun ostacolo nella loro mente,
possono superare ogni paura,
distruggere ogni percezione erronea
e realizzare il Perfetto Nirvana.

Tutti i Buddha del passato, del presente e del futuro,
praticando la comprensione profonda che ci conduce all’altra riva,
sono in grado di realizzare
l’Illuminazione autentica e perfetta.

Quindi, Shariputra, si sappia
che la comprensione profonda che ci conduce all’altra riva
è un grande mantra,
è il mantra che più illumina,
il mantra supremo,
il mantra incomparabile,
la vera Saggezza che ha il potere
di porre fine ad ogni tipo di sofferenza.
Proclamiamo quindi
un mantra per lodare
la comprensione profonda che ci conduce all’altra riva:

Gate gate paragate parasamgate bodhi svaha!

[Traduzione in italiano di Diana Petech e Adriana Rocco]

Vedi anche:

Sutra del Cuore – Il commento di Thich Nhat Hanh

27 mag 2016

" I CAVATORI " di Francesco Tarabella (1958) e Cave di marmo della Garfagnana












Bhaddekaratta Sutta

Da: Zen in the city

DISCORSO SUL MODO MIGLIORE PER VIVERE SOLI (BHADDEKARATTA SUTTA)






Ho udito queste parole del Buddha una volta che il Signore dimorava nel monastero del boschetto di Jeta, nei pressi della città di Sàvatthi. Chiamò a sé tutti i monaci e li istruì: “Monaci!”
E i monaci risposero: “Siamo qui”.
Il Beato esordì: “Vi insegnerò cosa si intende quando si dice cono­scere il modo migliore per vivere soli’. Comincerò con i tratti essenziali dell’insegnamento e poi vi darò una spiegazione dettagliata. Monaci, vi invito ad ascoltare con attenzione”.
“Beato, ti ascoltiamo”.
Il Buddha insegnò:
“Non inseguite il passato.
Non perdetevi nel futuro.
Il passato non c’è più;
il futuro non è ancora arrivato.
Osservando a fondo la vita così com’è
proprio qui e ora,
il praticante dimora
nella stabilità e nella libertà.
Dobbiamo essere diligenti oggi,
domani sarebbe troppo tardi:
la morte arriva inaspettata.
Come si può scendere a patti con essa?
Il saggio chiama una persona
che dimora nella presenza mentale
notte e giorno
“colui che conosce il modo migliore per vivere solo”.
Monaci, che cosa significa “inseguire il passato”? Quando uno con­sidera come era il suo corpo in passato, come erano le sue sensazioni in passato, come erano le sue percezioni in passato, come erano le sue for­mazioni mentali in passato, come era la sua coscienza in passato, quando considera queste cose e la sua mente è oppressa e attaccata a queste cose che appartengono al passato, allora quella persona insegue il passato.
Monaci, che cosa significa “non inseguire il passato”? Quando uno considera come era il suo corpo in passato, come erano le sue sensazio­ni in passato, come erano le sue percezioni in passato, come erano le sue formazioni mentali in passato, come era la sua coscienza in passato, quando considera queste cose ma la sua mente non si attacca a queste cose che appartengono al passato e non ne è resa schiava, allora quella persona non insegue il passato.
Monaci, che cosa significa “perdersi nel futuro”? Quando uno con­sidera come sarà il suo corpo in futuro, come saranno le sue sensazioni in futuro, come saranno le sue percezioni in futuro, come saranno le sue formazioni mentali in futuro, come sarà la sua coscienza in futuro, quando considera queste cose e la sua mente è oppressa e fa sogni a oc­chi aperti su queste cose che appartengono al futuro, allora quella per­sona si sta perdendo nel futuro.
Monaci, che cosa significa “non perdersi nel futuro”? Quando uno considera come sarà il suo corpo in futuro, come saranno le sue sensa­zioni in futuro, come saranno le sue percezioni in futuro, come saranno le sue formazioni mentali in futuro, come sarà la sua coscienza in futu­ro, quando considera queste cose ma la sua mente non è oppressa e non fa sogni a occhi aperti su queste cose che appartengono al futuro, allora quella persona non si sta perdendo nel futuro.
Monaci, che cosa significa “essere sopraffatti dal presente”? Se qual­cuno non studia e non impara nulla del Risvegliato o dei suoi insegna­menti di amore e comprensione, o della sua comunità che vive in ar­monia e consapevolezza; se quella persona non sa nulla dei nobili inse­gnanti e dei loro insegnamenti, non pratica quegli insegnamenti e pen­sa: “Questo corpo è me; io sono questo corpo. Queste sensazioni sono me; io sono queste sensazioni. Questa percezione è me; io sono questa percezione. Questa formazione mentale è me; io sono questa formazio­ne mentale. Questa coscienza è me; io sono questa coscienza”, allora quella persona si sta lasciando sopraffare dal presente.
Monaci, che cosa significa “non lasciarsi sopraffare dal presente”? Quando uno studia e sa qualcosa del Risvegliato, dei suoi insegnamen­ti di amore e comprensione, della sua comunità che vive in armonia e consapevolezza; se quella persona conosce i nobili insegnanti e i loro insegnamenti, pratica quegli insegnamenti e non pensa: “Questo corpo è me; io sono questo corpo. Queste sensazioni sono me; io sono queste sensazioni. Questa percezione è me; io sono questa percezione. Questa formazione mentale è me; io sono questa formazione mentale. Questa coscienza è me; io sono questa coscienza”, allora quella persona non si sta lasciando sopraffare dal presente.
Monaci, vi ho presentato il riassunto e la spiegazione dettagliata sul modo migliore per vivere soli”.
Così il Buddha insegnò e i monaci gioirono nel mettere in pratica i suoi insegnamenti.
Bhaddekaratta Sutta, Majjhima Nikaya 131
Traduzione da Canti e recitazioni di Plum Village, Nobile, 2000.

Nota sull’espressione “vivere soli”

La traduzione del titolo di questo sutra è stata oggetto di ampia discussione, dal momento che l’espressione “vivere soli” può facilmente prestarsi a equivoci. SecondoDiana Petech, insegnante  di Dharma della tradizione di Thich Nhat Hanh (“Thay”), “vivere soli” è solo una delle tante possibili traduzioni. Ecco cosa dice in una email inviata a un gruppo di discussione:
Nel Canone Pali sono due i sutra che hanno più o meno lo stesso contenuto – e Thay li ha voluti riportare tutti e due nel Canto del cuore: – il Bhaddekaratta sutta  e ilTheranamo sutta. Il Theranamo parla appunto di quel monaco di nome Thera che amava tanto vivere solo. Per analogia, sulla base del Theranamo si è tradotto con “soli” anche l’ “ek” contenuto nel titolo del Bhaddekaratta (ek in sanscrito e in Pali significa “uno”), ma quella è solo una delle tante possibili traduzioni.
Su questo titolo misterioso ci si è molto interrogati, si è molto studiato e molto scritto; chi è interessato veda il corposo studio di Bhikkhu Nanananda, in inglese).
Il commento di Thay, innovativo, in cui lui nel Bhaddekaratta legge “soli” come “unificati nel qui e ora” è contenuto nel discorso di Dharma Finding our True Hometenuto al Deer Park il 12 ottobre 2013 (all’inizio, fino a 17’35”). Qui Thay considera che quando ci perdiamo nel passato o nel futuro è come se in noi ci fossero due persone, una che resta col corpo nel presente e una seconda che si sposta con la mente nel passato o nel futuro, appunto.
[La foto è di Dalibor Tomic]

Punti significativi della dottrina originaria del Buddha

"Sono questi i punti significativi della dottrina originaria del Buddha:

1. le quattro verità;
2. la legge della produzione condizionata;
3. il sentiero etico in otto fasi;
4. la concezione del samsàra e del nirvàna;
5. l’insufficienza di ogni dottrina, quindi dello stesso buddhismo, qualora assunta come un referente dogmatico." 


(da "La filosofia indiana (eNewton Il Sapere)" di Leonardo Vittorio Arena)

Nobile silenzio

"Accanto a questa parte «costruttiva», esiste una parte «distruttiva» dell’insegnamento del Buddha, non meno significativa. Ai discepoli che insistevano a porgli questioni metafisiche, l’Illuminato replicava con un «nobile silenzio». In effetti, si limitava a comunicare le nozioni utili ai fini della liberazione. È un importante monito alle filosofie e alla razionalità concettuale. Buddha si dichiarava «libero dalle opinioni» (Majjhima nikàya, 77). Non è certo con la riflessione speculativa che si potrà raggiungere il nirvàna, cioè l’interruzione del «ciclo delle nascite e delle morti» (samsàra)." 


(da "La filosofia indiana (eNewton Il Sapere)" di Leonardo Vittorio Arena)

Ottuplice sentiero

"Per sollecitare i suoi discepoli alla produzione della consapevolezza autentica, e pervenire incontro alle esigenze di quelli immaturi o meno accorti, Buddha enunciò le otto fasi di un percorso etico ottimale. 1. Retta visione. La realtà dev’essere vista come un flusso costante, in cui niente permane. È la condizione mentale preliminare all’addestramento. 2. Retto scopo. Ogni azione deve corrispondere a una finalità etica prestabilita, in modo da risultare in armonia con tutti. 3. Retta parola. L’adepto sarà sempre sincero con il prossimo, astenendosi dalle critiche inutili. 4. Retta azione. Ovvero: assoluta correttezza nell’operato, nell’eliminazione di qualsiasi tendenza egoistica. 5. Retto modo di sostentarsi. Verrà scelta un’occupazione lecita, che non rechi alcun danno alle creature. 6. Retto sforzo. Ogni attività quotidiana dovrà essere svolta cercando di dare il meglio di sé, attraverso un perfetto controllo delle passioni. 7. Retta concentrazione. Si imparerà a concentrarsi su un oggetto, un punto o un’attività, al fine di esercitare l’attenzione e attingere la conoscenza intuitiva. È la condizione preliminare, parzialmente mutuata dallo Yoga, alla fase successiva. 8. Retto raccoglimento interiore (samàdhi). Il termine è prelevato dallo Yoga, e allude a una pratica meditativa impeccabile, condotta con estrema consapevolezza e nel totale dominio di se stessi." (da "La filosofia indiana (eNewton Il Sapere)" di Leonardo Vittorio Arena)

Buddismo in 4 parole

Buddha si decise finalmente a divulgare la sua dottrina, cioè il proprio training personale. E lo fece al Parco delle Gazzelle, nel suo celebre Sermone di Benares. La teoria delle «quattro nobili verità» è il fondamento del discorso. Si tratta delle seguenti: 1. la vita è piena di dolore; 2. la sete di esistere è l’origine del dolore; 3. la sete di esistere può essere soppressa; 4. esiste un cammino, in varie fasi, che permette di estinguere la sete. Buddha non è pessimista: egli ammette che l’esistenza è caratterizzata dal dolore, ma proclama, nel contempo, la possibilità di estinguerlo. Formula così una diagnosi della malattia, imputandone le cause ai desideri e alle passioni, per poi prescriverne la terapia, vale a dire l’etica, opportuna. Colui che si attacca all’esistenza, è vittima della sofferenza. Egli invece si dovrebbe rendere conto della costante transitorietà delle cose, per cui niente sussiste in eterno. È una trasformazione della mentalità, l’adozione di una nuova consapevolezza che dovremmo coltivare, se vogliamo accogliere i suggerimenti di Buddha." (da "La filosofia indiana (eNewton Il Sapere)" di Leonardo Vittorio Arena)

22 mag 2016

17 ott 2014

L'infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati  spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.

18 set 2014

Teoria Junghiana della personalità



Teoria Junghiana della personalità
a cura di Daniela Grazioli


L’INCONSCIO PERSONALE E COLLETTIVO
Come per Freud anche per Jung l’inconscio è un costrutto ipotetico che si può solo inferire,
poiché per definizione non è osservabile direttamente. Tuttavia, per Jung l’inconscio è la radice
della coscienza e perciò la precede, mentre per Freud l’inconscio è il prodotto della rimozione e
perciò segue la coscienza.
Per Jung l’inconscio non contiene solo tracce di esperienze dimenticate o rimosse (inconscio
personale), ma anche uno strato più profondo dove è depositato il patrimonio psicologico
dell’umanità, l’inconscio collettivo.
L’inconscio collettivo si distingue dall’inconscio personale o individuale che è proprio di ogni
individuo, in quanto in quest’ultimo ci sono contenuti che un tempo erano consci e in seguito
sono scomparsi dalla coscienza perché dimenticati o rimossi, i contenuti dell’inconscio collettivo
invece non sono mai stati nella coscienza, ma sono “ereditati”, in quanto fanno parte del
patrimonio ereditario comune a tutti gli uomini.
Il contenuto dell’inconscio personale è formato soprattutto da “complessi”, quello dell’inconscio
collettivo è costituito essenzialmente da archetipi.
ARCHETIPI
Della nozione di archetipo Jung da due versioni.
Nella prima, gli archetipi sono forme a priori che organizzano l’esperienza, “modelli di
comportamento innati”, come esempio Jung porta “il pulcino che non ha imparato il modo con
cui uscirà dall’uovo, ma lo possiede a priori”. Gli archetipi sono ereditati, sono forme a priori
d’apprendimento, disposizioni a fare esperienza in un modo piuttosto che in un altro, non sono
determinati dal punto di vista del contenuto, ma solo della forma, e anche qui in misura
limitata.
Nella seconda accezione l’archetipo è un’immagine primordiale, una figura o processo che si
ripete nel corso della storia, primariamente è una figura mitologica, che si può considerare
come la risultante d’innumerevoli esperienze tipiche di tutta l’umanità passata e presente. Tali
immagini o figure archetipe abitano nell’inconscio collettivo di ogni uomo e data la loro potente
vitalità simbolica godono di una certa autonomia ed è possibile che si liberino da ogni controllo
cosciente.
L’IO E IL SE’
La relazione Io/Sé è l’asse portante della concezione junghiana della psiche. Il Sé abbraccia
coscienza ed inconscio, è la somma del potenziale di un individuo e la totalità della sua
personalità, è allo stesso tempo il centro unificatore e il perimetro di tale totalità.
L’Io invece è il centro del campo di coscienza di un individuo, non coincide con la totalità della
sua psiche, è solo il soggetto della sua coscienza, mentre il soggetto della sua psiche totale, che
comprende anche l’inconscio personale e collettivo, è il Sé. L’Io, in quanto centro della
coscienza del soggetto, possiede un alto grado di continuità ed identità con se stesso,
costituisce il senso, la percezione che l’individuo ha della propria identità che, malgrado
molteplici mutamenti, continua a sentire stabile ed uguale nel tempo. Al proprio io/coscienza
l’individuo riferisce tutte le sue esperienze, sia quelle interne, sia quelle esterne.
La relazione che intercorre tra l’Io e il Sé è di due tipi: il Sé infatti, è sia il momento iniziale
della vita psichica, sia la sua realizzazione e meta.
All’inizio il Sé è antecedente all’Io/coscienza che emerge dal Sé, in questo caso il Sé è visto
come l’espressione indifferenziata di tutte le possibilità umane, dal quale l’Io si emancipa
affermando identità e differenze proprie al particolare individuo a cui quell’io appartiene, ed
uscendo così dalla notte dell’indifferenziato.
Come meta e momento ulteriore e più vasto rispetto all’ambito circoscritto dell’io/coscienza, il
Sé diventa l’orizzonte per una nuova ricerca di senso e significato nella costruzione dell’Io.
Questa seconda figura del Sé diventa attiva nella seconda parte della vita, quando l’Io è
abbastanza forte per reggere il confronto con il Sé. Questo percorso costituisce il processo
d’individuazione, il cui scopo è il raggiungimento della propria autenticità, di ciò che
“essenzialmente” ognuno “è”.

Processo di individuazione

1) Incontro con l'ombra.
2) accettazione dell' archetipo animus/anima
3) incontro con l'archetipo del vecchio saggio: mito dell'eroe/mito della Grande Madre;  animus/anima; yin/yang.
4)disintegrazione dell'immagine del vecchio saggio.
5) immagine archetipica del Sé.





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